Paolo Febbraro – Dietro i fatti. Conversando con un poeta

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Redazione I Martedì

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Fra i migliori poeti contemporanei, Paolo Febbraro ha di recente pubblicato  I grandi fatti (Pendragon), una raccolta di prose poetiche dove il dolore trattenuto sfocia in una rara metafisica scrittura.

Leggo da I grandi fatti:

In realtà noi non sappiamo dove sono i luoghi, ma solo i percorsi che vi arrivano.

Un lampo, che fa parte di un libro dove i “fatti”, siano essi individuali o legati a una riscrittura del mito, hanno come tessuto connettivo un “dio” che nell’iIluministica beffa trova il suo modo per esprimere i propri “teologici” pensieri. Com’è nato questo libro dedicato alla memoria di tuo padre, un genele di brigata, descritto con trattenuta commozione?

Febbraro i Grandi fattiÈ un libro che ha quasi la metà della mia vita. Diversi racconti, dialoghi, aforismi, risalgono alla primavera del 1994. Fu una nascita improvvisa: da poco più di due anni avevo cominciato a scrivere le prime poesie che mi interessassero davvero. Nelle prose che cominciarono a nascere rapidamente riconoscevo l’influsso di Kafka e dei suoi racconti brevi, ma anche di Borges, che avevo letto con passione a vent’anni. La brevità mi piaceva: esigeva una concentrazione, un’esattezza, una sintesi misteriose e promettenti. Probabilmente, il mio obiettivo sonoro e sintattico era quello di una minuziosa ampiezza. Non ricordo quando cominciai ad assemblare quelle prose in un piccolo libro. Rimasero lì per anni, ogni tanto ne aggiungevo un’altra, ne pubblicavo in qualche rara occasione. Poi è arrivata la richiesta di Matteo Marchesini, che stava progettando una collana editoriale di narrativa per la Pendragon. La dedica a mio padre è giunta per ultima: l’ho perso lo scorso anno, e ho voluto ricordarlo in un libro che ne fa, in qualche pagina, uno dei suoi protagonisti. Da sempre Dio (il più grande personaggio della letteratura mondiale) è in ciò che scrivo. Credo sia naturalmente legato alla figura paterna: alla paura che suscita, al suo sottrarsi, al distacco che ce ne allontana, necessario per esistere, crescere e soffrire.

In te la poesia indugia sul dato religioso. A volte solo chi si professa profondamente laico sa parlare, direttamente o indirettamente, di Dio: penso al breve ma teso brano intitolato Il giorno dopo, oppure a La Storia, entrambi inseriti nella sezione intitolata “Le cose dietro”. Quest’ultima riporta in esergo due versi lapidari:

– Dietro le cose, c’è la verità. / – Dietro la verità, le cose.

La materia, la tua materia non è inerte ma cosa viva, perimetro dal quale fuoriesce uno spirito geometrico il cui bordo non è mai chiuso. Mai come in questo libro ti sei messo a confronto con la Natura, mai come in queste pagine il dolore è analizzato come da un naturalista: esso è vita, è, perdonami, preghiera rivolta a un “dio” che non c’è e che, tuttavia, nella disciplina della scrittura impone, comunque, il suo ordine. Dove si colloca il tuo “disordine”?

Sono molto colpito da questa domanda: colpito in senso non metaforico, insomma centrato in pieno. l due versi che citi sono tratti dal Diario…

[…] Leggi l’articolo completo nel numero 332 “Alcune parole”

Domenico Segna

 

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