Bail in. Il nuovo modo per salvare le banche

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Redazione I Martedì

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Salvare le banche – Un risanamento dall’interno che si realizza riducendo i debiti in modo proporzionale e progressivo rispetto alle tipologie d’investimento.

“Bail”: termine inglese che indica il concetto di “garanzia”. Come spesso accade nella lingua inglese, il termine si associa con varie preposizioni per assumere significati più specifici e, nel nostro caso, i termini più usati sono “bail out” e “bail in”. Nel primo caso il concetto di garanzia s’identifica con un intervento dall’esterno, mentre, se si usa il termine “in”, si intende che la garanzia proviene dall’interno. Applicato al caso bancario e riferito alle modalità d’intervento di “salvataggio” o “soluzione” della crisi dell’istituto, un esempio di bail out è l’intervento dello Stato che risolve la crisi finanziando le casse della banca con sovvenzioni straordinarie e consentendo, quindi, alla banca di far fronte ai propri impegni con tutte le categorie di depositanti (risparmiatori), sostenendo la banca probabilmente aiutando anche gli azionisti (proprietari).

Questo tipo di intervento è oggi impedito dalle norme europee in quanto considerato aiuto di Stato e, di conseguenza, contro la logica del mercato. Escluso quindi il bail out resta il bail in, che, in realtà, consiste nell’applicare anche alla banca, in quanto impresa (e questo in parte è un punto nuovo), il normale sviluppo di una crisi aziendale per debiti, in cui proprietari e debitori vedono, in modo diversificato, ridursi il proprio credito proporzionalmente alla riduzione degli attivi dell’azienda a causa della perdita. In sostanza il termine bail in è il nuovo modo con cui saranno “salvate le banche”: non più un salvataggio esterno prevalentemente pubblico che tutela tutto e tutti, il bail out utilizzato finora, bensì un risanamento (termine più appropriato di salvataggio) dall’interno, che si realizza riducendo i debiti in modo proporzionale e progressivo rispetto alle tipologie di investimento il valore delle azioni, delle obbligazioni e dei correntisti; questo fino a che il totale del debito della banca sia sostenibile rispetto al totale dell’attivo.

Ricordiamo che gli attivi della banca sono composti massimamente da crediti alle imprese, obbligazioni, azioni e titoli strutturati, tutti valori esposti tendenzialmente all’andamento dell’economia e dei tassi. In estrema sintesi, il principio del bail in è che il costo della difficoltà di un’azienda anche se bancaria, debba ricadere sull’impresa stessa e i suoi azionisti e creditori e non sulle risorse pubbliche provenienti, in ultima analisi, dalle tasse.

Il punto delicato che determina, quindi, il cambiamento radicale e che ora espone i depositanti e gli obbligazionisti alla certezza del rischio di perdere i propri soldi in caso di perdite gravi da parte della banca, è quella parte della direttiva BRDD (Norma europea sulla soluzione delle crisi bancarie). Essa modifica la legislazione italiana (testo unico bancario) sulle crisi bancarie, che limitava le procedure concorsuali cui possono essere soggetti gli istituti di credito alla sola liquidazione coatta amministrativa. Se è vero che anche con la legislazione precedente al recepimento della direttiva BRDD una liquidazione coatta amministrativa avrebbe potuto chiamare i creditori, come gli obbligazionisti ordinari o subordinati, a sopportare perdite a causa della crisi della banca, oggi con il duplice assetto normativo della BRDD e della regolamentazione degli aiuti di Stato, viene impedito il bail out.

Come funziona il bail in e come ci si arriva?

[…] Leggi l’articolo completo nel numero 332 “Alcune parole”

Augusto Bagnoli

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