50+1 un infiltrato tra cinquanta capolavori del cinema

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Perché 50+1?

Lo spiega il sottotitolo: cinquanta sono i film noti che vengono esaminati e commentati nel testo; uno è l’infiltrato che, pur meno conosciuto (e meno valido) degli altri, compare in questa rassegna perché l’autore in qualche modo ha potuto contribuirvi.

Chi è Ario Gnudi?

Ario Gnudi, nato a Bologna nel 1944, è personaggio particolare nonché scrittore eclettico: laureato in medicina veterinaria, si è ritrovato a dirigere un ospedale; poi, al cessare della propria attività pubblica, si è immerso anima e corpo in quella che è da sempre una delle sue antiche passioni, la letteratura.
Ha pubblicato cinque libri in dieci anni di intensa scrittura: Anelli di fumo (Pendragon, 2008); Giochi di parole (Pendragon, 2014); Corsie ad ostacoli (Persiani, 2015); Nove storie bolognesi (Persiani, 2016); 50 + 1 (Persiani, 2017).

La sua ultima fatica

 

Ario Gnudi 50+1Quest’ultima fatica di Gnudi ci è piaciuta particolarmente, e quindi proveremo a spiegarne il perché. Abbiamo apprezzato, innanzitutto, l’approccio al tema scelto nel libro: l’autore ci tiene a mettere in chiaro di non volersi ergere a esperto o critico cinematografico, ma di essere uno di noi, uno che ha iniziato ad andare al cinema «da quando ha smesso i calzoni corti», e ha cessato di frequentare le sale del grande schermo verso la fine del millennio, quando il cinema è stato sommerso «da montagne di dollari e da valanghe di effetti speciali».

In questo intervallo, durato più di quarant’anni, seguiamo con interesse il percorso umano, emotivo, intellettuale (delineato sottotraccia e mai dichiarato esplicitamente) che lo scrittore ha compiuto nell’arco della propria intera esistenza.

Vediamo quindi che, bambino, gioca con i film western anni ‘50 (Shane, The Searchers); adolescente, cresce negli anni del boom con i film della commedia all’italiana (La ragazza con la valigia, Il sorpasso); ragazzo, si immedesima nei film del cinema d’autore (Blow up, Amarcord); adulto, non può fare a meno di continuare a nutrirsi delle grandi opere dei “suoi” Maestri (Billy Wilder, Sergio Leone, Stanley Kubrick).

Circa questi ultimi, vediamo come Gnudi non esiti a considerarli i tre massimi registi della storia del cinema, prendendosi così, consapevolmente, la responsabilità di posporre loro artisti del calibro di Fellini, Ford, De Sica, Truffaut, ma anche Eastwood, Tornatore, Ridley Scott, Sorrentino.

Non è certo il coraggio che manca allo scrittore, tant’è che non esita a definire “insufficiente” un personaggio del calibro di Gene Kelly, in quanto un attore-ballerino:

«dovrebbe avere anche una qualche espressività» e non soltanto quel sorriso stereotipato «che ha quasi sempre stampato sul viso»

o quando boccia senza esitare la recitazione di Gian Maria Volonté (uno dei più grandi attori italiani di sempre) nel noir francese I senza nome.
Questi, ma non solo, sono i pregi di un libro che è senz’altro una notevole opera sulla settima arte, ricca di immagini e di contenuti, e di fluida lettura.

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